Gli anticorpi della scienza e i casi
Madrazo e Hwang
ROBERTO COLONNA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 30 marzo
2019.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: DISCUSSIONE]
La tendenza, alimentata da varie
forme di sottocultura di massa, a prendere a pretesto casi di frodi e scandali
che si verificano nella ricerca biomedica per gettare discredito su tutta
l’impresa scientifica, ha fatto tornare di attualità un argomento al quale la
nostra società ha sempre riservato grande attenzione, come testimonia la
sezione del sito web dedicata a
“Frodi, Inganni ed errori”: la capacità da parte di coloro che sono impegnati
nella ricerca di riconoscere ed eliminare risultati falsi e manipolazioni che
possono ostacolare o arrestare il progresso della conoscenza.
Una discussione sugli anticorpi posseduti
dalla comunità scientifica al suo interno per far fronte ad errori in buona o
malafede, è stata sviluppata in settimana dai nostri soci, focalizzando
l’attenzione su due casi esemplari che qui di seguito saranno esposti in
sintesi: Madrazo e Hwang.
Basandosi su esperimenti condotti
nel 1983 in modelli murini di malattia di Parkinson da Anders
Bjorklund e colleghi a Lund, in Svezia, Olaf Backlund e il suo staff chirurgico del Karolinska Institutet di Stoccolma avevano sperimentato su due
pazienti volontari, affetti da una forma grave della malattia
neurodegenerativa, l’innesto autologo di cellule surrenaliche secernenti
dopamina allo scopo di compensare il deficit di neurotrasmettitore dovuto alla
distruzione dei neuroni dopaminergici della pars
compacta della substantia nigra mesencefalica. Il miglioramento di
alcuni parametri funzionali, determinato dalla “terapia sostitutiva”, si rivelò
deludente perché di breve durata.
Nel 1987 un team guidato da Ignacio Madrazo presso
l’ospedale La Raza di Città del Messico, fino ad
allora sconosciuto alla comunità scientifica internazionale, riferì di aver
applicato con successo il protocollo dei ricercatori svedesi, realizzando
autotrapianti di tessuto surrenalico nel nucleo caudato di destra di due
pazienti affetti da malattia di Parkinson, e ottenendo la remissione duratura
dei sintomi motori e del linguaggio. Il resoconto fu pubblicato dal New England
Journal of Medicine[1]. Sei mesi dopo, Madrazo dichiarò di essere in
grado di ottenere una guarigione clinica completa dal Parkinson, impiegando
tessuto prelevato da un feto abortito spontaneamente, ossia senza far ricorso a
tessuto autologo.
A questo punto, sembrò che il medico
messicano non avesse più quale suo interlocutore privilegiato la comunità di
colleghi e ricercatori, ma il grande pubblico: fece realizzare dei filmati di
propaganda che mostravano i pazienti completamente guariti e lo accreditavano
quale “guaritore”. La strategia funzionò, creando un’opinione diffusa che
influenzò anche i professionisti, così che Madrazo,
nelle sue apparizioni a convegni medici e scientifici, veniva accolto da grandi
applausi come un divo dello spettacolo. In breve, divenne celebre,
quotidianamente visitato da giornalisti e contattato da pazienti di tutto il
mondo, che gli chiedevano l’intervento. Le istituzioni cliniche di USA, Svezia
e Regno Unito si affrettarono a richiedere alle autorità mediche nazionali il
nulla osta all’esecuzione dell’intervento, anche se molti ricercatori in tutto
il mondo erano rimasti dubbiosi. In particolare, tra i neurobiologi impegnati
in quel campo di studi, molti non riuscivano a comprendere come fossero stati
risolti alcuni dei problemi che li tenevano impegnati da tempo: 1) raccogliere
e mantenere in vita le cellule; 2) accertare la possibilità di mettere insieme
cellule provenienti da embrioni diversi; 3) scoprire come regolare, orientare e
dirigere la crescita e la differenziazione delle cellule iniettate all’interno
del cervello; 4) scoprire come controllare la sopravvivenza e lo sviluppo delle
cellule trasferite per assicurarsi che sostituiscano nelle reti le cellule
morte e sviluppino solo le connessioni desiderate, senza invadere le aree
circostanti, disturbando la funzione di altre popolazioni cellulari. In altre
parole, problemi che oggi, trent’anni dopo, non sono ancora del tutto risolti.
Ai dubbi privati di ricercatori
isolati fece eco la presa di posizione ufficiale dell’American Academy of Neurology, che raccomandò cautela e stigmatizzò come
“fretta inopportuna” l’atteggiamento dei centri clinici statunitensi che
avevano già introdotto l’uso dei trapianti di tessuti fetali. Intanto, il
gruppo svedese di Anders Bjorklund
e colleghi, il primo ad eseguire la sperimentazione umana, annunciava di non
essere riuscito a riprodurre gli esiti positivi di Ignacio Madrazo.
In realtà, in questa vicenda si era
contravvenuto ad una regola implicita della ricerca biomedica, che prevede un
lavoro sufficientemente lungo ed approfondito su modelli sperimentali animali,
condotto in vari laboratori indipendenti con risultati eccellenti, prima di
decidere per una sperimentazione terapeutica sull’uomo; inoltre, in questo caso
si sperimentava giocoforza su un numero molto limitato di pazienti e, perciò, su
campioni poco significativi. In quello stesso anno, in un articolo definito
lungimirante da Steven Rose e consorte[2] ma sgradito a molti perché insinuava sospetti, John Sladek
e Ira Shoulson si chiedevano perché si fosse passati
così presto alla sperimentazione sull’uomo, quando si poteva disporre di ottimi
modelli animali di malattia di Parkinson; non trovando ragioni plausibili,
ipotizzarono pressioni della lobby
degli animalisti sugli autori, forse anche a scopo provocatorio, per accrescere
la consapevolezza dei ricercatori su quanto stava accadendo[3].
Nel marzo del 1988 erano stati
eseguiti oltre cento interventi, nella massima parte dei casi con risultati
negativi. Si decise, conseguentemente, di interrompere la sperimentazione in
tutti i centri clinici del mondo. Fu chiaro, allora, che Madrazo
aveva manipolato i risultati e, in poco tempo, la sua reputazione crollò.
Consideriamo, ora, la vicenda del
veterinario Woo Suk Hwang,
della quale si sono occupati – all’epoca dei fatti – vari membri della nostra
società scientifica. Come nel caso di Madrazo, i presunti
risultati sensazionali sono stati preceduti e “ispirati” dall’impegnativo
lavoro di un ottimo ricercatore: James Thomson, biologo molecolare del
Wisconsin con un curriculum di studi veterinari. Il team di ricerca di Thomson, lavorando con ginecologi israeliani le
cui pazienti avevano donato 36 embrioni, era stato in grado di generare cinque
linee cellulari di staminali embrionali, tre maschili e due femminili, usando
procedure sviluppate inizialmente nel topo, e poi in primati sub-umani[4]. Per far crescere le cellule umane, Thomson e colleghi avevano impiegato
delle “cellule nutrici” murine, così le nuove linee cellulari non erano
immediatamente adatte all’uso terapeutico ed era necessario risolvere problemi
immunologici per scongiurare il rischio di rigetto.
Nel 2004 un team coreano guidato da Woo Suk Hwang annunciò il superamento dei problemi di Thomson e
pubblicò il resoconto di una sperimentazione che aveva generato cellule
embrionali umane da una blastocisti, clonata con il trasferimento nucleare di cellule
somatiche e cresciuta su cellule nutrici umane e non di topo[5]. In un colpo solo erano stati raggiunti due obiettivi considerati fino a
quel momento molto difficili da raggiungere: generare cellule staminali
embrionarie umane e dimostrare che potevano essere usate per la clonazione.
Hwang aveva
prelevato 242 ovociti da sedici donatrici per sviluppare le sue procedure di
trasferimento nucleare di cellule somatiche: un numero straordinariamente
elevato, impensabile da ottenere per i ricercatori europei e americani, tanto
da far proclamare pubblicamente la sua invidia a Jose Cibelli, pioniere della
ricerca sulle staminali presso la Michigan State University[6].
Quando l’articolo di Hwang apparve sulla versione cartacea di Science, fu presentato dal direttore
Donald Kennedy, ricercatore in scienze ambientali, con un editoriale a dir poco
entusiastico dal titolo Stem Cells Redux. In quei giorni il nostro presidente fu
interpellato per conto di un’organizzazione politica che si occupava di cellule
staminali e, avendo sollevato dubbi e perplessità sugli esperimenti, non fu
ulteriormente consultato[7]. Intanto, la popolarità di Hwang cresceva sia
presso la comunità scientifica internazionale sia presso l’opinione pubblica,
anche a motivo del fatto che in molti paesi l’impiego terapeutico delle
staminali embrionarie era diventato un argomento di interesse politico e
mediatico.
Il ricercatore coreano e i suoi
collaboratori nel 2005 pubblicarono uno studio che fece ancora più scalpore del
primo: impiegando 185 ovociti donati da 11 donne e nuclei prelevati da cellule
della pelle di volontari affetti da patologie genetiche, quali
immunodeficienze, diabete giovanile o malattie del midollo spinale, erano state
create linee cellulari staminali embrionarie specifiche per ogni paziente,
potenzialmente disponibili sia per la ricerca sia per la clonazione
terapeutica. Almeno, stando a ciò che era dichiarato e documentato nella
pubblicazione[8].
Furono organizzati incontri,
convegni e seminari, come quello del Roslin Institute, che aveva invitato Hwang
per l’apertura dei lavori, o quelli dello Science Media Center, dove Linda
Kelly della Parkinson’s Disease
Society (oggi Parkinson’s UK) e Alastair Kent del Genetic Interest Group
celebrarono con elogi sperticati l’ottenimento di linee staminali embrionarie
specifiche. A Cambridge, Roger Pedersen accreditò il
gruppo di ricerca coreano dei meriti di un cambiamento epocale nella terapia
medica. John Sinden della società biotecnologica ReNeuron paragonò la ricerca della clonazione embrionale
umana a quella del Santo Graal: Hwang, per lui, lo
aveva trovato[9].
In Corea del Sud in breve tempo il
ricercatore era diventato un eroe nazionale, in grado di far assurgere il suo
Paese al ruolo di leader mondiale
della ricerca biomedica: le autorità fecero emettere un francobollo celebrativo
con la sua effige e gli concessero il privilegio di viaggiare gratis vita natural durante sugli aerei della compagnia di bandiera.
Osannato da folle esultanti nelle sue apparizioni pubbliche, Hwang annunciò sotto le luci della ribalta mediatica
internazionale di voler far diventare la Corea del Sud un «centro direzionale
mondiale per la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane»[10]. “Time” lo incluse nella lista degli uomini più influenti del mondo.
Eppure, nel frattempo, vari
ricercatori senza diritto di tribuna si chiedevano perché non riuscissero a
riprodurre i risultati del Coreano. Una ragione veniva suggerita dallo stesso Hwang: la sua tecnica di estrazione dei nuclei era
differente. Ma se si adoperava la stessa tecnica senza riuscire, quali erano le
ragioni? Fra tutti, l’unico che mise pubblicamente in dubbio i risultati di Hwang fu il ricercatore americano Rudolf Jaenisch[11].
Perché le blastocisti negli altri
laboratori non sviluppavano linee cellulari? Secondo Hwang
il segreto era nel gran numero di ovuli, che accresceva le probabilità, e nelle
“mani magiche” delle donne che lavoravano come tecnici di laboratorio. Sia Nature che Science riportavano nei commenti una sorta di retorica celebrativa
che era stata offerta come razionalizzazione dagli autori agli editorialisti:
le Coreane lavoravano sette giorni su sette con inizio alle 6,30 del mattino e,
solo la domenica, alle 8; Hwang si svegliava alle
4,30 per la sua pratica buddista e poi si dedicava tutto il giorno con poche
interruzioni al suo lavoro.
Non fu però il dubbio esternato da Jaenisch, né quelli nutriti in silenzio da tanti altri
ricercatori ad avviare una verifica del lavoro dei colleghi coreani. Fu un
controllo di legittimità bioetica: una giovane dottoranda del gruppo di Hwang, intervistata per conto di Nature, dichiarò di aver donato i propri ovuli per spirito
altruistico e patriottico: non si era accordata con Hwang
che, non sapendo della sua dichiarazione, negò che lei fosse una delle donatrici.
Allora la ragazza ritrattò, sostenendo che c’era stato un fraintendimento
causato dalla sua approssimativa conoscenza della lingua inglese. Hwang infine decise di rivelare che le donatrici erano
state pagate, ammettendo di aver compiuto un atto illegale in Corea del Sud, ma
sostenendo di aver mentito inizialmente per proteggere la privacy delle donne. Il collaboratore ginecologo Sun il Roh, che condivideva il
brevetto, confessò di aver pagato 1.400 dollari a ciascuna di venti donne per i
suoi ovuli. Il castello di carte stava per crollare: si annunciava una verifica
nel laboratorio da parte di una commissione investigativa dell’Università di
Seul. Gerald Schatten, l’unico autore americano
dell’articolo, si affrettò a comunicare ufficialmente di non essere più parte
del progetto e di aver interrotto da tempo i rapporti con Hwang.
Probabilmente aveva compreso di essere stato usato come prestanome a garanzia
di serietà, non avendo partecipato alla parte decisiva degli esperimenti.
Test eseguiti da laboratori indipendenti
dimostrarono che non erano mai state realmente ottenute linee cellulari
specifiche dai pazienti volontari, e le cellule raffigurate nell’articolo erano
fotografie abilmente copiate da altre pubblicazioni scientifiche. Un appello di
otto ricercatori impegnati nella ricerca sulle cellule staminali richiese una
verifica indipendente da parte dell’organismo di controllo universitario.
L’esito dell’indagine della commissione dell’Università di Seul certificava la
frode.
Erano stati gli stessi ricercatori
coreani a scoprire e condannare Hwang. Gli articoli
furono prontamente ritirati dalla rivista Science
che, attraverso iniziative editoriali, cercò di riabilitarsi agli occhi della
comunità scientifica per questo grave incidente di percorso. Hwang fu privato dei titoli e destituito dal ruolo.
Le trame di queste due vicende hanno
fornito numerosi spunti alla discussione, che si è conclusa con il
riconoscimento unanime dell’importanza della diffusione di questi fatti, per
una migliore conoscenza della realtà attuale del mondo della scienza.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione
della bozza e invita alla
lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono
nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-30 marzo 2019
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BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in
data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1] Ignacio Madrazo,
et al. Open Microsurgical Autograft
of Adrenal Medulla to the Right Caudate Nucleus in Two Patients with
Intractable Parkinson’s Disease. New
England Journal of Medicine 316: 831-834,
1987.
[2] Hilary Rose & Steven Rose, Geni, Cellule e Cervelli – Speranze e delusioni della nuova biologia, p. 295, Codice Edizioni/Le Scienze, Torino 2013. Si veda qui anche la sintesi della vicenda Madrazo.
[3]
John Sladek & Ira Shoulson,
Neural Transplantation: A
Call for Patience rather than Patients. Science 240:
1386-88, 1987.
[4] James Thomson, et al. Embryonic Stem Cell Lines Derived from Human Blastocysts. Science 282: 1145-1147, 1998.
[5] Hwang W. S., et al., Evidence of a Pluripotent Human Embryonic Stem Cell Line
Derived from a Cloned Blastocyst. Science
303: 1669-1674, 2004.
[6] Vogle G.,
Scientists Take Steps Toward Therapeutic Cloning. Science 303, p. 937, 2004.
[7] Forse perché si ritenne che la sua opinione fosse influenzata da ragioni bioetiche. In realtà, a questo proposito, noi eravamo al corrente della ricerca sulla riprogrammazione che avrebbe consentito di superare i problemi legati alle cellule staminali embrionarie. Il tempo ci ha dato ragione.
[8] Hwang W. S., et al., Patient-specific Embryonic Stem
Cell Derived from Human SCNT Blastocysts. Science
308: 1777-1783, 2005.
[9] Il paragone “blasfemo” era già stato impiegato da Gilbert a proposito del Progetto Genoma Umano.
[10] Hilary Rose & Steven Rose, Geni, Cellule e Cervelli – Speranze e delusioni della nuova biologia, p. 303, Codice Edizioni/Le Scienze, Torino 2013.
[11] Hilary Rose & Steven Rose, op
cit., p. 304.